Scoprire ogni sfaccettatura di un gioco e gridare al 100% ha da sempre affascinato generazioni di giocatori. Qual è però la responsabilità dei level designer nel guidarli nella loro impresa? E quali gli ostacoli? Scopriamolo con Hob, videogioco dove tutto è silenzio.

Abbassa la voce

Hob è l’ultimo pupillo della defunta Runic Games, casa videoludica famosa per prodotti quali Torchlight I e II. Platform dalla grafica mozzafiato, Hob si particolarizza a livello narrativo per l’audace scelta di assenza totale di dialoghi: tutto è gesti, inquadrature o, al massimo, segnalini azzurri nella mappa che dobbiamo raggiungere.

Ehi, sono qui!

Iniziamo col dire che gestire una narrazione del genere NON è semplice per tanti motivi:

  • focus: come ogni storia, ci dovrebbero essere eventi più importanti e marcati rispetto ad altri. Le parole sono il mezzo più rapido per svelarci informazioni, e alternarle con inquadrature mute crea pieni e vuoti che ci dicono: “ehi, presta più attenzione ora, sto parlando!”. Togliendole, c’è il rischio che tutto assuma lo stesso peso.

  • maggiore alienazione: l’assenza totale di voci sommata a pure musiche ambient (quindi niente jingle e cose simili) alienano molto di più il giocatore rispetto a quanto avviene, per esempio, in uno Spyro, apoteosi del gioco vivace per tutta la famiglia, o in un Portal che, nonostante abbia una protagonista muta, compensa con il sarcasmo di GLaDOS.

  • incomprensibilità: il rischio di non comprendere cosa stia succedendo è molto più alto, tant’è che Hob usa lo stratagemma di locazioni extra per spiegare il background della storia proiettando delle animazioni su una parete. Cosa che però, non gli è riuscita molto bene.


Per scoprire il background di Hob, vi sono zone extra che proiettano una storia

Ovviare al silenzio

Come fa dunque Hob a rendere il gioco piacevole e a narrare nonostante niente e nessuno spiccichi mezza parola?

Prima di tutto con i versi: seppur privi di significato, i versi richiamano l’attenzione del giocatore. Questo stratagemma lo impiegano ogniqualvolta gli NPC ci parlano, dandoci poi indicazioni.

Altro mezzo utilizzato sono i sopracitati segnalini sulla mappa, che illustrano le varie tappe per proseguire. Insomma, questo narrare in silenzio viene gestito magistralmente, o almeno finché ci atteniamo alla storyline principale. Cosa succede infatti al di fuori di essa? Che mezzi abbiamo per finire il gioco al 100% con tutti i potenziamenti e quant’altro? Ecco, qui iniziano le note dolenti…


In alto, uno dei “robot” che ci guidano nel gioco con suoni e indicazioni

Orientarsi senza indicazioni

Il mondo di gioco è uno, c’è un’unica grande mappa, e per ottenere il 100% bisogna trovare vari potenziamenti sparsi in giro. Molti li troveremo già durante la run principale, ma è inevitabile che qualcuno ci sfuggirà, soprattutto nella fase finale molto più open world. Nulla di male, se l’unica opzione propostaci non fosse però di metterci zaino in spalla e setacciare ogni angolo di una mappa immensa, richiedendo ore e ore di frustrazione.

Venirsi incontro

Hob è un incrocio tra puzzle game, platform e action: gli sviluppatori avrebbero potuto elaborare un metodo che permettesse di vedere su mappa dove fossero i tesori rimasti a gioco finito (o perlomeno fornire piccoli indizi), perché tanto tra il vedere dove sono e il capire come arrivarci c’è un’enorme differenza (e tanti burroni).

La meccanica dello sbloccare contenuti che facilitino il 100% è tipica di certi platform e… lo è perché essenzialmente funziona. Prendiamo per esempio Spyro: finito il gioco, si acquisisce l’abilità di Sparx che punta verso le gemme restanti.


la libellula Sparx che in Spyro punta verso i tesori a gioco finito

Questione di focus

Perché un metodo del genere funziona? Perché permette di dare priorità diverse al giocatore. Se sa che a fine gioco gli spetta una piccola agevolazione, non impazzirà durante ogni livello per dover ottenere anche la più piccola briciola. Oppure, nel caso non lo sapesse, sarà più che contento nello scoprirlo.

Pensateci: stiamo scalando una montagna per arrivare a ¾ della sua altezza e, arrivati al nostro obiettivo, scopriamo che c’è un bus che può portarci fino in vetta. Non è la nostra intenzione, ma dato che siamo agevolati perché non goderci il panorama?

Conclusioni

Sotto questo aspetto, Hob assomiglia a quegli indie che vogliono essere più difficili di Dark Souls (metro osannato da chiunque), ponendosi come giochi seri ma arrivando a essere un incrocio tra questo e Cat Mario (gioco pensato apposta per far saltare i nervi).

Questi ibridi non funzionano, perché uno dei compiti dei game e level designer è quello di non lasciare mai il giocatore spaesato a girarsi i pollici: c’è differenza tra il non riuscire a uccidere un boss e il non sapere dove andare in una mappa sconfinata, perché nel primo caso la “colpa” è nostra che non riusciamo a superare un ostacolo, nel secondo invece l’ostacolo non sappiamo neanche quale sia, e finiamo per ritrovarci in un simulatore di passeggiate.


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